Per non Scordare: Sergio Ramelli Vittima dell'Odio Comunista

Sergio Ramelli, classe 1956, studente di  chimica industriale e fiduciario del Fronte della Gioventù presso l’Istituto tecnico Molinari di Milano. Le sue passioni erano il calcio(era tifoso dell'Inter) e la politica.

 Ramelli fu bollato come “fascista” solo per aver avuto, all'epoca, il coraggio di scrivere in classe un tema in cui criticava  le Brigate Rosse. Sergio non poteva nemmeno immaginare che quel tema sarebbe stata la sua condanna a morte. Un paio di ore più tardi dalla fine del compito,il suo tema verrà sottratto dalle mani del professore e affisso nella bacheca all’ingresso della scuola.

Da quel momento iniziò un vero e proprio calvario per Sergio: dalle telefonate anonime a casa con in sottofondo il motivo di bandiera rossa  alle scritte sotto la sua abitazione: “Ramelli fascista sei il primo della lista” e le varie umiliazioni a scuola tra cui quella di dover rimuovere le scritte del Fronte della Gioventù dai muri del Molinari.

Il 12 marzo 1975 Sergio Ramelli fu aggredito sotto casa dai militanti di Avanguardia Operaia, organizzazione extraparlamentare di estrema sinistra.

Il povero Sergio  venne colpito a ripetizione alla testa con chiavi inglese modello "Hazet 36". L’azione durò pochi minuti, Sergio rimase a terra in un lago di sangue, ma ancora vivo. Per altri 47 giorni combatterà contro la morte in un letto dell’Ospedale Maggiore dove, dopo una lunga  agonia, il 29 aprile 1975 il suo cuore cessò di battere.

I responsabili dell'omicidio di Sergio Ramelli furono degli studenti di medicina: Marco Costa e Giuseppe Ferrari Bravo (gli esecutori materiali), Claudio Colosio, Antonio Belpiede, Brunella Colombelli, Franco Castelli, Claudio Scazza e Luigi Montinari (i complici); condannati dopo 12 anni con l'accusa di omicidio colposo.

In una lettera di perdono inviata alla mamma di Ramelli, i suoi assassini scrissero: “Non avevamo nulla di personale contro suo figlio, non lo avevamo mai conosciuto né visto. Ma, come troppo spesso accadeva in quel periodo, il fatto di pensare in modo diverso automaticamente diventava causa di violenza gratuita e ingiustificabile”.

 

Oggi, a distanza di 42 anni, ricordare questa triste pagina di storia non solo è un atto dovuto alla memoria di questo giovane innocente vittima del cieco odio comunista, ma è soprattutto un momento di riflessione per insegnare ai giovani di oggi che l’odio non può e non deve essere uno strumento di raffronto politico. Abbassare i toni, sostenere le proprie idee con argomentazioni e riflessioni scevre da nostalgismi ideologizzati, non è debolezza ma  un grosso segno di civiltà e di pacificazione nazionale.


Alessandro Cilione 

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