Aprile il Mese più Crudele: "I Giorni dell'Odio"

Ogni anno, dal fatale 25 Aprile 1945, milioni di italiani celebrano la cosiddetta “Festa della Liberazione”.
In questo giorno, infatti, le bande ribelli dell’Alta Italia dilagarono nei centri principali del Settentrione (Torino, Milano, Genova per citare i casi più noti) ormai quasi del tutto sgomberati dalle FFAA Germaniche e ormai prossimi a essere occupati dalle truppe Alleate che avevano sfondato la linea difensiva dell’Asse sul Po. Ciò che questi milioni di italiani non sanno (e che tanti invece scientemente trascurano!), è che questa data è lorda del sangue di migliaia di compatrioti torturati e trucidati barbaramente proprio dai “liberatori” partigiani e angloamericani in una mattanza che già aveva caratterizzato il periodo della guerra civile almeno dall’estate 1944 (tra l’armistizio e i primi del 1945 gli assassinati in imboscate partigiane furono 19000) e che dal fatidico 25 aprile si fece ancora più cruenta e proseguì per tutta la primavera 1945 almeno fino a giugno e, in zone come l’Emilia e la Venezia Giulia, fino al 1947.

Gli assassinati non furono solo Fascisti repubblicani o loro familiari (famigerato il caso della famiglia Ugazio, in Piemonte: insieme al padre Giuseppe, Segretario del PFR locale, vennero massacrate le due giovani figlie Mirka, di tredici anni e Cornelia, di ventuno) , ma anche sacerdoti, possidenti, anticomunisti e addirittura partigiani non affiliati alle preponderanti e violente Brigate Garibaldi, legate al PCI del criminale Togliatti, come i membri delle formazioni di ex militari, cattolici e democratici che spesso furono vittime di eccidi, talvolta poi spacciati dalla vulgata resistenziale come rappresaglie Fasciste.                
Il caso, tra quelli noti, più importante, fu certamente la strage di Porzus, in Friuli.          
Nel Febbraio del 1945,  vennero assassinati i partigiani che appartenevano a formazioni cattolico/militarizzate che avevano osato opporsi all'intento criminale, in base al comune accordo tra i comunisti italiani e slavi, di permettere l'annessione della Venezia Giulia al nuovo stato jugoslavo titino.                 
Peraltro, le vittime erano in contatto, per meglio attendere alla missione di salvataggio della regione, con le formazioni del Principe MOVM Junio Valerio Borghese (che già si erano distinte eroicamente nella difesa di Gorizia), oltre che con le unità d'assalto di Marina appartenenti al Regno del Sud (ossia i due tronconi di quella che fino all'8/9/1943 era la gloriosa Decima Flottiglia MAS, eccellenza della nostra Arma marittima).             
Questa fraterna collaborazione tra Italiani, così rara e preziosa nella nebbia sanguigna della guerra civile, venne vista dai boia rossi come un gravissimo atto di collaborazionismo e, per questo, sanzionata con maggior severità.          
In totale, i nostri compatrioti assassinati dai “liberatori”, furono circa 70000 civili in maggioranza uccisi dai bombardamenti terroristici di USAAF e RAF.       
 Non bisogna neanche dimenticare i raid di “Pippo”, un ricognitore operante in tutto il Centro Nord che mitragliava qualsiasi cosa si muovesse su strada e soprattutto coloro i quali non rispettavano il completo oscuramento notturno. In tal senso riporto la brutta esperienza occorsa al bisnonno dell’autore, all’epoca residente nel mantovano: mentre attraversava la campagna in sella alla sua bicicletta fu preso di mira da un caccia britannico che gli sparò addosso fino a quando egli, per sfuggirgli, si gettò in un fosso a bordo strada.

Per quanto riguarda i 13000 militari, Martiri dell’Onore d’Italia, riconosciuti come soldati a tutti gli effetti, contrariamente ai loro carnefici, che potremmo definire più banditi che altro, non venne applicata nessuna convenzione sul trattamento dei prigionieri.         
Si ebbero così episodi di orrore in tutto il Centro Nord: a Oderzo (Treviso) le vittime furono 598 tra militi della GNR e Allievi Ufficiali della locale Scuola. A Codevigo (Padova) si ebbero 136 morti, molti dei quali della Guardia Nazionale Repubblicana, come il Sottotenente Luigi Lorenzi, che fu torturato e infine crocifisso in spregio alla sua Fede in Gesù Cristo. Sul Monte Manfrei (Savona) perirono 200 marò della 3° Divisione Fanteria di Marina “San Marco” dell’Esercito Nazionale Repubblicano. A San Possidonio (Modena) e Pescarenico (Lecco) il Battaglione “Perugia” e il Raggruppamento Corazzato GNR “Leonessa” ebbero 220 caduti. L’eccidio di Schio (Vicenza), uno dei casi più celebri ed efferati, portò all’uccisione di 54 persone tra militari e civili, molti dei quali semplicemente sospettati di essere Fascisti. A Saluzzo (Cuneo) trovarono la morte 22 Alpini della 4° Divisione Alpina “Monterosa” dell’ENR. Di grandissimo rilievo fu anche la strage di Torino, teatro dell’aberrante omicidio di 3000 Fascisti che si erano coraggiosamente gettati nell’estrema difesa della città. Tra di loro spicca il Federale Giuseppe Solaro, una delle più grandi menti della socializzazione e del sistema corporativistico ideologicamente tipico dell’economia Fascista. La stessa feroce esecuzione dei Franchi Tiratori del PFR aveva già insanguinato, nei mesi precedenti, altre città: Forlì, Napoli, Genova e, soprattutto, Firenze (Agosto 1944).

Alla fine della mattanza le vittime furono centinaia di migliaia, soprattutto nelle regioni che maggiormente furono teatro dell’azione delle bande rosse: in Emilia l’area compresa tra Ferrara, Reggio e Bologna fu testimone di circa 4500 vittime (soprattutto membri del clero, come il seminarista quattordicenne Beato Rolando Rivi, ostili all’ateismo selvaggio dei ribelli comunisti) e il Litorale Giuliano-Dalmata vide l’infoibamento di 250000 persone e l’esilio forzato di almeno altre 350000, colpevoli di essere italiane e trovarsi in terre pretese dai barbari partigiani bolscevichi appartenenti al IX           ° Korpus del criminale Maresciallo Josip Broz, detto Tito.

A proposito delle vittime degli slavi occorre menzionare particolarmente i caduti di un reparto che fu tra i più eroici nella difesa dei confini d’Italia, in Friuli, dove ebbe due intere compagnie infoiate dopo tremendi supplizi, come sulla Linea Gotica ovvero la Decima Flottiglia MAS, gloriosa unità semiautonoma del Principe MOVM Junio Valerio Borghese, già grandemente distintasi sul Mediterraneo. Essa, dopo l’8 Settembre 1943, aveva deciso di continuare a lottare per risollevare l’Onore d’Italia, i morti di questo reparto furono più di 600, senza contare tutti gli uccisi in eccidi sommari a guerra finita (per citare solo un esempio a Valdobbiadene, nel trevigiano, il Battaglione Nuotatori Paracadutisti ebbe circa 50 caduti sotto il piombo delle “Garibaldi” tra il 3 e il 5 Maggio 1945).

Un ulteriore capitolo a sé stante è rappresentato dalla sorte di centinaia di donne appartenenti al Servizio Ausiliario Femminile o ai reparti femminili della Decima, delle Brigate Nere che, disarmate, vennero catturate e seviziate in modo inenarrabile dai feroci ribelli prima di essere uccise, spesso pestate a morte con badili o calci di mitra.
Con più di 300 vittime su circa 6000 ragazze in grigioverde, il Corpo delle Ausiliarie ebbe la più alta percentuale di perdite in rapporto all’organico tra i reparti della Repubblica Sociale Italiana.

Molti grandi nomi del Fascismo perirono sotto il piombo dei ribelli, primo tra tutti, ovviamente, il Duce Benito Mussolini, con la sua amante Clara Petacci e i 18 gerarchi fermati dalla banda del Conte Bellini Delle Stelle e passati per le armi sul lungolago di Dongo, Como, nel pomeriggio del 28 Aprile 1945.      
Tra loro, oltre a personaggi particolarmente infiammati dalla Fede Fascista come il Segretario del PFR e Comandante in Capo delle Brigate Nere Alessandro Pavolini, cultore della Bella Morte (fu infatti l’unico a opporre resistenza) e il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Francesco Maria Barracu, Medaglia d’Oro e Grande Invalido di Guerra (reso cieco da un occhio durante l’Alto servizio), figurano incolpevoli funzionari quali il Segretario Particolare del Duce Luigi Gatti, il Professor Goffredo Coppola, stimatissimo antichista, Rettore presso l’Ateneo di Bologna e Presidente dell’Istituto Nazionale di Cultura Fascista e Marcello Petacci, la cui unica colpa fu quella di essere stato prima scambiato per il primogenito del Duce e poi di essere stato scoperto  fratello di Claretta.

La dinamica dell’esecuzione della coppia Mussolini–Petacci avvenuta a Giulino di Mezzegra, piccolo borgo sulle sponde del Lago di Como, è tuttora oggetto di dibattiti storiografici e inchieste giornalistiche.         

Afferente a subdoli intenti appare la scelta di assassinarli in un luogo nascosto ed esporli solo in seguito all’ira pubblica che si discosta palesemente da quei criteri di legalità che tanto, dopo, avrebbero ostentato perseguire, d’altro canto, l’inscenata fucilazione dei due cadaveri di fronte al famigerato cancello di Villa Belmonte conferma la sacrilega indole di chi, mascherandola come giustizia, dava libero sfogo alla propria crudeltà.

Perché decidere di sopprimere il Capo del Fascismo quando il Comando Statunitense lo richiedeva per processarlo e dare luogo così a una sorta di Norimberga all’italiana?            
Che fine ha fatto il tesoro dei Ministri che era trasportato insieme alla colonna motorizzata in viaggio verso la Valtellina e, specialmente, è mai esistito il Carteggio Churchill-Mussolini, che pare essere scomparso proprio in quelle concitate ore?                
Infine, perché il Primo Ministro inglese venne personalmente in visita sul Lago di Garda tra Maggio e Giugno 1945, ma soprattutto una questione rimane in sospeso, quanto i Servizi Segreti di Sua Maestà britannica sono implicati nella morte del Duce?

Sono veramente tantissimi gli interrogativi emersi in questi settantadue anni, dovuti in particolare ad una lunga serie di silenzi e di morti sospette occorse tra i capi partigiani protagonisti di quel sanguinoso giorno di fine Aprile a guerra immediatamente conclusa.       
Ciò che è sicuro, è che la versione ufficiale raccontata da Walter Audisio, alias il Colonnello Valerio inviato dal PCI per eseguire la condanna a morte di Benito Mussolini “in nome del Popolo Italiano”, è assolutamente inverosimile, se non altro perché ogni intervista rilasciata ha fatto emergere particolari che contraddicevano la precedente.

Un altro ufficiale assassinato a Dongo fu la MAVM Capitano Pietro Calistri, pilota dell’Aeronautica Nazionale Repubblicana che, innocente da qualsiasi accusa di crimini di guerra, è accomunato nella sorte crudele al suo più noto commilitone, l’Asso dell’Aviazione Maggiore Adriano Visconti, quattro volte MAVM e due volte MBVM, che venne vilmente colpito alle spalle da raffiche di mitra mentre era prigioniero a Milano. Con lui venne trucidato il suo giovane Aiutante di Campo, Sottotenente Valerio Stefanini.

Tra Milano e Cremona nei giorni tra il 27 e il 29 Aprile vennero giustiziati sommariamente molti altri personaggi pubblici del Regime, come Roberto Farinacci, Ras di Cremona sin dal primissimo Fascismo e Carlo Borsani, giornalista, Medaglia d’Oro al Valor Militare e Cieco di Guerra, “eroicamente” assassinato per strada nel capoluogo meneghino e gettato su un carro di immondizia con un cartello recante la scritta “EX Medaglia d’Oro”.        
Vittima della mattanza di Piazzale Loreto fu persino Achille Starace, ex Segretario del PNF che non rivestiva alcun ruolo nella politica nazionale sin dal 1939: fu infatti catturato il mattino del 29 Aprile mentre, come era solito fare da anni, si esercitava nella corsa da comune cittadino.

L’episodio che più desta orrore e indignazione tra le centinaia di casi, e che ben rappresenta un esempio tipico del modus operandi dei ribelli, è il massacro di Rovetta, nel bergamasco, avvenuto lo stesso 28 aprile 1945, quando, quarantatré militi della 1° Legione M d’Assalto “Tagliamento” della GNR si arresero a un’unità di banditi che, dopo aver fatto loro deporre le armi ed averli ingannati garantendo un trattamento da prigionieri di guerra, li massacrarono.  
Il più giovane tra di loro, Carlo Banci, aveva quindici anni, mentre il più vecchio, Fernando Andrisano, ventidue. Tra i giovani Martiri risulta anche il ventenne Giuseppe Mancini, che fu ucciso per ultimo in quanto nipote del Duce, venendo così costretto ad assistere al barbaro sterminio dei suoi camerati.

Ulteriori sofferenze vennero arrecate ai militari detenuti nei campi di prigionia Alleati sul suolo americano, come i famigerati “Fascist Criminal Camp” (Hereford, in Texas, rappresenta il caso più celebre) o sparsi per l’immenso Impero Britannico, specialmente in Kenya, Sudan e India, dove i combattenti dell’Onore preferirono farsi uccidere dalla fame, dalle percosse, dal clima inospitale e dalle malattie piuttosto che rinnegare la propria lotta contro gli invasori del suolo Patrio e diventare dei collaborazionisti.

A guerra finita, vennero aperti diversi campi di concentramento nella Penisola, specialmente nei pressi di Pisa, e uno in Algeria, allo scopo di raccogliere le centinaia di prigionieri di guerra della RSI scampati alle stragi partigiane e affidati alle autorità angloamericane. Il campo più noto era situato a Coltano (PI). Qui vennero reclusi migliaia di militari in tre diversi sottocampi: uno per tedeschi, uno per militi della RSI e uno per soldati di altra nazionalità che servivano nelle Legioni Volontari Stranieri delle FFAA Germaniche.      

Il campo italiano ospitava 32000 detenuti, tra cui molti nomi noti del Fascismo repubblicano come Vincenzo Costa, Federale di Milano succeduto ad Aldo Resega, gerarca fautore della pacificazione tra Italiani assassinato in un agguato dei ribelli a dicembre del 1943 o Vito Mussolini, nipote del Duce e suo Segretario Politico.
Non mancarono nemmeno nomi che successivamente si sarebbero affermati nel mondo dello spettacolo come Dario Fo, il quale militò nei Paracadutisti della GNR, Raimondo Vianello, Sottufficiale dei Bersaglieri Volontari che, nel Dopoguerra, creò un lungo ed importante sodalizio artistico con un altro attore comico e reduce RSI, Ugo Tognazzi, membro della XII° Brigata Nera “Felisari” di Cremona.       
Ma anche Walter Chiari, pseudonimo di Walter Annichiarico, già milite della Decima MAS e combattente sul fronte normanno durante l’Operazione Overlord, o I Generali Agosti, Gambara, Carloni, rispettivamente Comandante della 2° Divisione Granatieri “Littorio”, Capo di Stato Maggiore dell’ENR e Comandante della 4° Divisione Alpina “Monterosa.
Tra i tanti reclusi, un prigioniero veramente eccezionale, fu il poeta americano Ezra Pound, legato al Fascismo italiano da prima dell’Armistizio e condannato come traditore dalle truppe USA a un trattamento terribile infatti, a Coltano, secondo quanto riportato dal Maggiore Sala, Eroe del Corpo Paracadutisti, fu chiuso in una gabbia di filo spinato sotto il sole per 15 giorni senza servizi e quasi senza cibo e successivamente venne spostato in un altro campo della Versilia.

Tutto questo rappresenta, nonostante la falsa verità, diffusa sfortunatamente nei libri di storia,  il vero volto della “guerra di liberazione” in Italia.     
Da un lato abbiamo i militari della Repubblica Sociale Italiana, valorosi combattenti che si battevano non per velleità di vittoria, ma per risollevare la Bandiera Italiana dal fango dell’ignominia nella quale era stata gettata dal tradimento infame dell’8 Settembre 1943 e per far fede al giuramento di lealtà verso i camerati tedeschi (i quali nella Campagna d’Italia persero circa 108000 uomini).    
Dall’altro lato abbiamo le preponderanti forze degli invasori Alleati, che in spregio a molti obblighi volti a disciplinare il loro operato di eserciti regolari spesso si abbandonavano a fucilazioni sommarie come ad esempio per la “strage di Biscari”, nel ragusano, che avvenne durante l’Operazione Husky (Luglio 1943).
Da non dimenticare sono anche i bombardamenti indiscriminati a dichiarato scopo terroristico come nel doloroso caso di Gorla, quartiere milanese, insanguinato dalla strage di 184 bambini e di tutto il personale della loro scuola elementare, nell’ottobre 1944.          
Le stesse truppe Alleate si macchiarono di un gran numero di saccheggi e violenze sui civili durante lo sfondamento della Linea Gustav, tra Lazio e Campania, in particolare nella regione della Ciociaria.                
In questo caso, le truppe marocchine, algerine e senegalesi, comandate dal generale francese Alphonse Juin, violentarono migliaia di donne e bambine in seguito alla “carta bianca” lasciata loro dagli ufficiali, come premio, per il loro operato durante la decisiva battaglia di Montecassino (maggio 1944).

Il grande nemico dei soldati della RSI, e non certo per loro scelta, dato che una grandissima percentuale di essi si era arruolata per scacciare gli invasori dall’Italia centro-meridionale e non per combattere una dura guerra civile, erano le bande di ribelli che infestavano Piemonte, Lombardia, Triveneto e Appennino tosco-emiliano.
Queste, infatti, in maggioranza composte da elementi comunisti e socialisti erano animate perlopiù da odio fanatico contro il Fascismo, la Chiesa cattolica e tutto quanto ricordasse il concetto di Patria (i 12 martiri dell’eccidio di Malga Bala, Friuli, erano semplici Carabinieri, per altro quasi tutti al primo incarico, non membri delle Brigate Nere o di chissà quale reparto politicizzato del Regime).

Di seguito, a chiusura di questa rassegna di orrori, che molti leggeranno per la prima volta, si reputa necessario giustapporre il testo di una circolare segreta, la n°. 547, inviata dal Comando della 1°  Divisione Autonoma Alpina “Val Chisone” del Corpo Volontari della Libertà al Comandante della Brigata “Val Dora”, circa il trattamento da riservare ai militi di determinati reparti della RSI, inclusi i feriti.

C.V.L. COMITATO DI LIBERAZIONE NAZIONALE Ia DIV. AUT. VAL CHISONE - A. SERAFINO
COMANDO

Segreto

Ogg. Disposizioni sul trattamento da usarsi contro il nemico

Al Com.te Brigata M. Albergian E.I. Al Com.te Brigata Val Dora

Ricevo e trasmetto le disposizioni avute dal C.V.L. nei riguardi del nemico. Gli appartenenti alle Brigate Nere, alla Folgore, Nembo, Xa Mas e tutte le truppe volontarie sono considerati fuori legge e condannati a morte. Uguale trattamento sia usato anche ai feriti di tali reparti trovati sul campo. Abituato a non discutere gli ordini che ricevo non tollererò nessuna infrazione al riguardo.   
I Com. di Brigata diano disposizioni ai loro uff. e così via in merito. Di tale trattamento sono esclusi gli Alpini della M.R. AD ECCEZIONE DEGLI Uff. superiori e dei volontari. In caso che si debbono fare dei prigionieri per interrogatori ecc. il prigioniero non deve essere tenuto in vita oltre le tre ore.

IL C. DI DIVISIONE

Marcellin

A queste parole fredde e cariche di astio si contrappongono queste poche righe stralciate dal diario di un paracadutista diciassettenne della “Nembo”, Alfio Porrini, in linea sul fronte di Nettuno durante la primavera: 1944:
Solo il Signore ci capisce e ci perdona, ci sorride. Perché non è per la legge dell’odio che siamo qua noi. Ma per l’amore di una terra che vogliamo servire".

 

 

 

Lorenzo Daniele

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