"... Finchè dall'Alpi al Mare non Sventoli il Tricolor!" La Nascita della Repubblica Sociale Italiana

Esattamente 74 anni fa, dalla sua residenza di Rocca delle Caminate, presso la natia Forlì, Benito Mussolini pone le basi della fondazione di un nuovo Stato Fascista. Una Repubblica che comprenda tutti i territori italiani ancora liberi dal giogo Alleato, dalle Alpi alla Linea Gustav, tra Lazio e Alta Campania. Un rinato Regime pronto a continuare l’immensa lotta al fianco del Terzo Reich e scacciare gli angloamericani dal Meridione. Il Duce presiede un Governo formato dai Gerarchi rimastigli fedeli, molti dei quali lo avevano già incontrato in Germania, nelle primissime ore dopo l’Operazione Quercia. Tra di loro si ricordano la MOVM Francesco Maria Barracu, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, rimasto cieco da un occhio durante la Campagna Greco-Albanese. Il Maresciallo Rodolfo Graziani, Ministro della Guerra e incaricato, con i suoi Sottosegretari, di ricreare le Forze Armate sbandatesi dopo l’obbrobrioso 8 Settembre. Renato Ricci, già Comandante dell’Opera Balilla e ora alla testa della Guardia Nazionale Repubblicana, sorta dalle ceneri della Milizia. Al grande luminare Professor Carlo Alberto Biggini è affidato il Dicastero dell’Educazione Nazionale, mentre il Ministero della Cultura Popolare è retto da Fernando Mezzasoma e dal suo Capo di Gabinetto, un giovanissimo Giorgio Almirante.

Il nuovo Governo, su pressione dei tedeschi, che ormai controllano quasi in toto l’aspetto logistico dell’Italia libera, non risiederà a Roma, troppo vicina al fronte, ma al Nord, presso il Lago di Garda. La zona è infatti nota ai germanici, i quali la trovano strategicamente importante per una serie di motivi: in primis è vicina al confine tra Italia e Terzo Reich, che in quel momento era fissato tra le cittadine di Limone e Riva del Garda, come ai tempi dell’Impero Asburgico*. Le sponde benacensi ospitano sin dal tardo Ottocento, soprattutto a Gardone Riviera, un’importante comunità tedesca. La grande disponibilità di strutture alberghiere permette, inoltre, di ospitare sia i numerosi funzionari e militari con le loro famiglie in arrivo da sud, sia di farne ospedali e convalescenziari per i feriti della Wehrmacht, che dall’inferno di Montecassino possono giungere in treno fino a Desenzano del Garda, da dove poi sono trasportati su piroscafi della Croce Rossa alle località di cura. Inoltre le Valli Sabbia e Trompia, immediatamente alle spalle di Salò e Brescia, erano vitali per l’industria d’armi, in quanto ospitavano numerosi opifici, primo tra tutti la Breda.Non da ultimo, da tempo il Feldmaresciallo Erwin Rommel, la Volpe del Deserto, aveva fissato il suo Comando per il fronte meridionale in una villa di Lazise, piccolo centro del Basso Garda Veronese.

Il nome con cui la Repubblica Fascista è celebre, ossia “Repubblica di Salò” è storicamente errato: la cittadina sulla sponda bresciana del Garda ospitava infatti solo alcuni Ministeri e Comandi Militari, tra cui gli Esteri, a Villa Simonini, la Cultura Popolare, a Villa Amadei, la Stefani, ava dell’ANSA, la Polizia Repubblicana, gli uffici degli interpreti e distaccamenti delle Brigate Nere, della Guardia Nazionale (che aveva il Comando Generale a Brescia) e della Decima MAS. La Residenza e gli Uffici del Duce erano invece situati a Gargnano, poche decine di chilometri più a nord: a Villa Feltrinelli abitavano Benito, Rachele, Romano e Annamaria Mussolini, visitati quotidianamente da Vittorio Mussolini, figlio maggiore del Duce e Capo delle Segreterie del padre e dalla vedova del Comandante Bruno Mussolini, caduto in un incidente aereo a Pisa nell’estate 1941. Il Quartier Generale è posto in un altro elegante stabile di proprietà degli industriali Conti Feltrinelli, all’epoca ancora magnati del legname: Palazzo Feltrinelli, detto Villa delle Orsoline, dal momento che nei mesi precedenti aveva ospitato monache di questo Ordine sfollate dalla città. Il QG è composto dall’Ufficio del Duce, dalla sua Segreteria Particolare, retta in questo periodo dal Prefetto Dolfin, il quale avrà due successori entro la primavera di sangue 1945, da quella Politica, sottoposta al nipote di Mussolini, Vito e dal Comando di Collegamento delle Truppe Germaniche, guidato dal Capitano Hoppe e dal Colonnello Jandl. Questi due Ufficiali dello Heer controllano tutte le mosse del Capo della RSI, insieme al suo medico personale, inviato dal Führer, il Dottor Zacharie. Oggi la Villa Feltrinelli, sita in località San Faustino, a circa seicento metri dall’abitato, ospita un albergo extra lusso, mentre nella Villa delle Orsoline, in pieno centro a Gargnano, si trova una sede distaccata dell’Università di Milano, nella quale si tengono corsi estivi per stranieri di lingua e cultura italiana.Sempre nel piccolo paese dell’Alto Garda Bresciano si trovavano il Comando della Legione M “Guardia del Duce”, vari alloggi e mense per Ufficiali e militari italotedeschi, un distaccamento di PS, reparti FLAK germanici e un gran numero di effettivi della Polizia Nazista e delle SS, i quali, insieme ai legionari della “Guardia”, erano preposti alla scorta di Mussolini. Solo a Gargnano, che oggi conta circa 3000 anime, le requisizioni (dell’intero stabile, di una stanza o di una autorimessa) furono ben 400.Gli altri Uffici e Ministeri sono sparsi per tutto il Veneto e la Lombardia, spesso in zone molto più vicine alla realtà della guerra rispetto all’idilliaco Garda, come le province di Padova e Vicenza, infestate dai ribelli o le grandi città come Milano e Brescia, rase al suolo dalle bombe dei Liberatori.

Questo Stato, che il 1 Dicembre 1943 prende il nome definitivo di Repubblica Sociale Italiana, non è solamente un’esperienza militare e politica, ma eminentemente spirituale ed ideologica. Il Fascismo dei Seicento Giorni è il Movimento delle origini, ormai libero da tutti i compromessi con la Monarchia, la Chiesa di Roma, la borghesia. Il Sansepolcrismo può finalmente rinascere ed attuare il suo programma sociale e nazionale che, originatosi dal Manifesto Futurista (lo stesso Marinetti aderisce alla RSI) del 1909 e dalla Carta del Carnaro di D’Annunziana memoria, passa per il Manifesto dei Fasci di Combattimento, per la Carta del Lavoro del 1927 e sfocia nei 18 Punti di Verona, varati nel Novembre 1943 sotto l’egida di un grande interprete di questo crepuscolo del Fascismo, l’intellettuale guerriero fiorentino Alessandro Pavolini, ora Segretario Nazionale del Partito Fascista Repubblicano. L’ideale della RSI, questo Mussolini lo specifica chiaramente sin dal 18 Settembre 1943, quando da Radio Monaco tiene un celebre discorso agli Italiani presentando il progetto del nuovo Stato, è quello Mazziniano. Vale a dire che il fil rouge della politica della RSI sarà l’essere Repubblicana, Laica, Patriottica, attenta alle istanze sociali delle classi meno abbienti. In questo senso si vuole attuare la Terza Via, un sistema economico opposto al capitalismo delle demoplutocrazie occidentali e al comunismo assassino dell’Est, basato sul Corporativismo e, in una fase più matura (che, a causa della guerra non vedrà mai la luce), la socializzazione, ossia la partecipazione degli operai al possesso dei mezzi di produzione.

Ecco alcuni punti del Manifesto di Verona in materia di politiche sociali:

“9) Base della Repubblica sociale e suo oggetto primario è il lavoro, manuale, tecnico, intellettuale, in ogni sua manifestazione.

10) La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio individuale, integrazione della personalità umana, è garantita dallo Stato. Essa non deve però diventare disintegratrice della personalità fisica e morale di altri uomini, attraverso lo sfruttamento del loro lavoro.

 

11) Nell'economia nazionale tutto ciò che per dimensioni o funzioni esce dall'interesse singolo per entrare nell'interesse collettivo, appartiene alla sfera d'azione che è propria dello Stato.

I pubblici servizi e, di regola, le fabbricazioni belliche debbono venire gestite dallo Stato a mezzo di Enti parastatali.

 

12) In ogni azienda (industriale, privata, parastatale, statale) le rappresentanze dei tecnici e degli operai coopereranno intimamente - attraverso una conoscenza diretta della gestione - all'equa fissazione dei salari, nonché all'equa ripartizione degli utili tra il fondo di riserva, il frutto al capitale azionario e la partecipazione agli utili per parte dei lavoratori.

In alcune imprese ciò potrà avvenire con una estensione delle prerogative delle attuali Commissioni di fabbrica. In altre, sostituendo i Consigli di amministrazione con i Consigli di gestione composti da tecnici e da operai con un rappresentante dello Stato. In altre ancora, in forma di cooperativa parasindacale.

 

13) Nell'agricoltura, l'iniziativa privata del proprietario trova il suo limite là dove l'iniziativa stessa viene a mancare.L'esproprio delle terre incolte e delle aziende mal gestite può portare alla lottizzazione fra braccianti da trasformare in coltivatori diretti, o alla costituzione di aziende cooperative, parasindacali o parastatali, a seconda delle varie esigenze dell'economia agricola.

Ciò è del resto previsto dalle leggi vigenti, alla cui applicazione il Partito e le organizzazioni sindacali stanno imprimendo l'impulso necessario.

 

14) E' pienamente riconosciuto ai coltivatori diretti, agli artigiani, ai professionisti, agli artisti il diritto di esplicare le proprie attività produttive individualmente, per famiglie o per nuclei, salvi gli obblighi di consegnare agli ammassi la quantità di prodotti stabilita dalla legge o di sottoporre a controllo le tariffe delle prestazioni.

 

15) Quello della casa non è soltanto un diritto di proprietà, è un diritto alla proprietà. Il Partito iscrive nel suo programma la creazione di un Ente nazionale per la casa del popolo, il quale, assorbendo l'Istituto esistente e ampliandone al massimo l'azione, provveda a fornire in proprietà la casa alle famiglie dei lavoratori di ogni categoria, mediante diretta costruzione di nuove abitazioni o graduale riscatto delle esistenti. In proposito è da affermare il principio generale che l'affitto - una volta rimborsato il capitale e pagatone il giusto frutto - costituisce titolo di acquisto.

Come primo compito, l'Ente risolverà i problemi derivanti dalle distruzioni di guerra, con requisizione e distribuzione di locali inutilizzati e con costruzioni provvisorie.”

 

Due grandi Alfieri della socializzazione furono l’ex leader comunista Bombacci, amico di Mussolini dai tempi in cui il futuro Duce era direttore dell’”Avanti” e Giuseppe Solaro, Federale di Torino e Comandante della 1° Brigata Nera “Capelli”, di stanza nel capoluogo piemontese. Entrambi, nell’Aprile 1945, subiranno il martirio per mano dei ribelli. Il primo sarà fucilato a Dongo, il secondo impiccato e gettato nel Po, soprattutto per aver diretto 3000 Franchi Tiratori nella difesa estrema di Torino.

Questo ultimo fenomeno, la difesa a oltranza delle città del centronord dall’avanzata di Alleati e ribelli affidata a manipoli di fedelissimi ben consci di combattere una battaglia persa, ci permette di esaminare altri aspetti della Spiritualità degli aderenti alla Repubblica Sociale: il volontarismo, la ricerca della Bella Morte e la volontà di immolarsi fino in fondo per difendere l’Onore proprio e della Patria ferita dal tradimento e dall’invasione, anche e soprattutto a costo della vita.

 

Esaminiamo prima di tutto il volontarismo: la maggior parte dei militari delle varie formazioni dell’ultimo Fascismo erano in larghissima parte volontari, dai marò della Decima MAS di Borghese, rinata a La Spezia subito dopo l’armistizio, ai militi della Legione “Muti”, reparto di Polizia operante a Milano, a quelli della GNR di Ricci, passando per i Battaglioni Bersaglieri di stanza a Verona e a tanti altri reparti più o meno autonomi. Personaggi come Borghese e Pavolini desideravano sfruttare proprio questa infuocata volontà di riprendere le armi per l’Italia e il Duce e al fianco dei tedeschi, per ricostituire le Forze Armate, ma prevalse la linea di Graziani che, con una certa miopia politica, impose la creazione di un Esercito apolitico e, soprattutto di leva. Ciò creò enormi problemi alle stesse FFAA Repubblicane, dal momento che i coscritti, i quali non volevano saperne della guerra, disertavano alla prima occasione e, per sfuggire alla fucilazione, passavano alle bande di ribelli. Ciò non impedì di formare quattro Divisioni, addestrate in Germania, che, per quel poco che vennero sfruttate contro gli Alleati per la sfiducia dei Comandi tedeschi, si fecero onore, soprattutto in Garfagnana, tra l’autunno e l’inverno del 1944. Queste Grandi Unità raggruppavano militari di varie specialità: la 1° Divisone “Italia” era formata da Bersaglieri (un Corpo che versò molto sangue sotto il vessillo della Repubblica), la 2° “Littorio” inquadrava Granatieri, la 3° “San Marco” Fanti di Marina, mentre la 4° “Monterosa” era formata da Alpini, ed era la più forte per effettivi ed equipaggiamento.

 

I migliori rappresentanti della ricerca della Bella Morte furono invece i militi delle Brigate Nere, create nell’estate 1944 e votate alla lotta contro i ribelli e tutti quei Reparti Arditi eredi della Tradizione gloriosa e spericolata delle Fiamme Nere della Grande Guerra, dai RAU ai RAP fino ai Battaglioni d’Assalto “Romagna”, “Bologna” e “Forlì”. Tutte queste Unità, le cui divise nere erano decorate da teschi delle più varie fogge, nella migliore tradizione squadrista, non mostravano né chiedevano pietà agli avversari, avevano anzi un vero culto della Morte eroica come massima aspirazione e apice assoluto dell’esistenza. Celebri sono il motto “Sposi della Vita, Amanti della Morte” e i versi di un canto molto in voga tra i Reparti della Repubblica, i quali spesso ne adattavano l’inizio, passando da “O Battaglion toscano!” a “O Prima Compagnia!” eccetera, ma il ritornello restava invariato: “A noi la Morte non ci fa paura, no! Ci si fidanza e ci si fa l’amor! Se poi ci avvince, ci porta al cimitero…si accende un cero e non se ne parla più!”. Un altro brano, composto nel 1944 da un AU della GNR, il calabrese Mario Castellacci, forse il più emblematico inno dei Seicento Giorni (ricordiamo che la RSI non ebbe mai un Inno ufficiale, sebbene si utilizzassero “Giovinezza” nella variante degli Arditi, l’”Inno di Mameli” e, raramente “La Marcia del Volontario”), torna sul tema della Morte come una ragazza da amare, anche più di quelle in carne ed ossa, le quali tanto hanno occhi solo per i vigliacchi imboscati. La canzone in questione è la famosissima “Canzone Strafottente”, nota ai più con il primo verso “Le donne non ci vogliono più bene”. Nella parte finale della prima strofa Castellacci scrive “Ce ne freghiamo! La Signora Morte/fa la civetta in mezzo alla battaglia!/ Si fa baciare solo dai soldati:/ sotto, ragazzi! Facciamole la corte/,diamole un bacio sotto la mitraglia!/Lasciam le altre donne agl’imboscati!”.

 

Questo culto riservato alla Nera Signora, fine ultimo dell’esistenza di ogni milite, il quale vede la Morte “con due bombe e in bocca un fiore”, come recita l’Inno dei Battaglioni M, l’élite della Milizia Fascista, è da spiegarsi, oltre che con il completo sprezzo del pericolo tipico dei Ragazzi di Salò, con il fatto che ormai tutti erano ben consci che la guerra è più che persa, che la popolazione raramente li vedeva di buon occhio e che una volta finite le ostilità sarebbero stati trucidati dai ribelli. Proprio l’accettazione del proprio destino, unita al profondo senso del dovere, permette di comprendere l’ultimo aspetto della Spiritualità degli ultimi Fascisti presa in esame in questo articolo: la devozione completa, fino al sacrificio della vita, alla rinascita morale e materiale del Paese.

Coloro i quali meglio rappresentano questo aspetto sono i cosiddetti Franchi Tiratori. Su questi Eroi romantici tanto si è scritto e tanto si è cantato, grazie alla ballata “Franco Tiratore” del 1978, opera de “Gli Amici del Vento”. Si trattava di Fascisti i quali, nella maggior parte dei casi autonomamente (falsa la vulgata resistenziale che vuole il fenomeno una macchinazione di Pavolini o addirittura attribuisce le azioni dei Tiratori a cecchini delle SS), si armavano di fucile e, nascosti sui tetti delle città, sparavano sui soldati alleati e sui ribelli che, tronfi, credevano di poter sfilare vittoriosi sulle vie principali semplicemente lanciando sigarette e cioccolata ai civili. Il caso più celebre è quello dei Tiratori di Firenze, i quali si immolarono in massa per difendere la culla della Cultura Italiana, andando spesso incontro a una fine tremenda: uccisi a cannonate dai carri alleati o torturati e fucilati di fronte a Santa Maria Novella dai ribelli rossi. Cambiava lo scenario, ma non la triste quanto eroica vicenda dei tiratori di Napoli, Forlì, Milano, Torino, Genova, Parma e tante altre città.

Lo stesso Eroismo titanico (nel senso letterario e filosofico del termine) venne mostrato dai Marò della Decima MAS su tutti i fronti (il motto del 2° Battaglione Fanteria di Marina “Lupo” era “Fosse anche la mia, purché l’Italia viva!”), in particolare nella difesa di Gorizia dai titini nell’inverno 1944/1945 e da quegli ultimissimi militi, in massima parte della 36° Brigata Nera “Mussolini” di Lucca, tra i quali un giovane Giorgio Pisanò, futuro importante storico della RSI e Fondatore del Movimento “Fascismo e Libertà”, i quali cercarono con i mezzi più diversi di convergere in Valtellina, dove Pavolini aveva scelto di creare l’ultimo bastione della Repubblica, evacuando Milano ed asserragliandosi tra i monti dell’Alta Lombardia per morire fino all’ultimo uomo  intorno al Duce e alle ceneri di Dante, simbolo di Italianità, traslate da Ravenna per evitare che finissero in mano agli Inglesi dell’Ottava Armata avanzanti dalla Linea Gotica verso il Po lungo l’Adriatico.

 

La Repubblica Sociale Italiana ebbe vita breve, dal 23 Settembre 1943 al 25 Aprile 1945. Per essa e per l’Onore e la Libertà di tutta Italia caddero circa 80000 persone, uccise in battaglia, negli agguati, trucidate dai ribelli, infoibate dai titini, morte sotto i bombardamenti e mitragliamenti aerei angloamericani. Grazie al sangue di questi Martiri, anche se l’invasione Alleata non è terminata, l’Onore della Nazione è stato vendicato. Spesso gli stessi leaders americani e inglesi si sono espressi con profondo rispetto nei confronti dei militi repubblicani. Eisenhower, ad esempio, sosteneva che l’ultima parte di Onore militare italiano, macchiato da Badoglio, era stata salvata dai Ragazzi di Salò. Il Generale Sir Alexander avrà invece a dire: “La mia La città italiana che preferisco? Firenze! Perché lì gli Italiani ci hanno accolto sparandoci addosso.”

 

 

Onoriamo dunque oggi, a 74 anni esatti dall’inizio dell’ultima raffica del Fascismo, i nostri Caduti di tutti i Reparti, defunti sul Campo della Gloria con una sola Fede e una sola speranza: permettere la salvezza, almeno spirituale, del nostro Paese.

 

*Dopo l’armistizio Hitler ha infatti ordinato di sottoporre a suoi commissari speciali le province italiane del Nord Est acquisite dopo la Vittoria del 1918, ossia Trento, Bozen, Belluno, controllate da Innsbruck e Trieste, Gorizia, Udine, Pola, Fiume, sottoposte a Klagenfurt. Vengono inoltre perse le province di Zara e Lubiana, a favore dei Croati.

 

 

Lorenzo Daniele, da Gargnano