18 Marzo 1944 Un Bombardamento Inutile: "Il Macello Goriziano"

Di seguito la testimonianza del bombardamento di Treviso tratto dal libro “i cieli dell’onore 1943 – 1945 i vittoriosi della sconfitta” di Gianfranco Turino.

 

Il 18 marzo un susseguirsi di bombardieri alleati, calarono ad ondate spianando l’aeroporto di Gorizia.  Fu un bombardamento spietato, consumato in modo crudele e attuato con una precisione paurosa.  Gli aerei nemici non si fermarono solo sui bersagli militari o sulle strutture dell’aeroporto, colpirono, con inumana ferocia, tutto quel che capitò loro a tiro. Hangar, costruzioni militari, baraccamenti della sussistenza, aerei al suolo e nei capannoni officina, tutto distrutto a cui fece seguito un fitto mitragliamento verso le figure in movimento che cadevano, sotto lo sgranare dei colpi, assumendo le forme più strane, nell’attimo della morte.

Le fortezze volanti virarono lentamente, tornando sulla scena dell’inferno, non paghi del macello, puntarono sulla città scaricando gli ultimi carichi di morte e sgranando, senza tregua, il terreno e le case, massacrando una popolazione inerme, formata, per lo più, da vecchi, donne e bambini.

Fu una serie ininterrotta di passaggi con lancio di grappoli di bombe d’ogni genere  che cambiò totalmente la topografia locale.

Lasciando soltanto polvere, cenere, macerie e dolore di una popolazione civile colpevole soltanto di avere avuto un aeroporto, pagando il prezzo più alto.

Il macello “goriziano” e’ uno dei tanti atti d’inutile crudelta’; dimenticato dalle cronache e dalle pagine della storia.  Negli alti comandi alleati passo’ come una accurata azione bellica consumata per piegare i nazi-fascisti del nord.

Il cielo s’era ingrigito per il fumo degli incendi, nell’aria l’acre odore di bruciato e il puzzo dei morti carbonizzati.

L’aeroporto non esisteva più, scheletri anneriti, mozziconi di fabbricati vuoti come l’orbita di una pupilla cieca.

La pista era un avvallamento di buche, da cui spuntavano i rottami di mezzi e aerei, qualche hangar s’era salvato, altri si presentavano come un ammasso di lamiere contorte, stritolate al suolo.

Un uomo camminava in mezzo ai residui della bufera, pareva un automa, sguardo allucinato, perso nel nulla, capelli strinati dal fuoco, viso imbrattato di sangue e polvere nerastra, la divisa bruciacchiata e strappata, una manica pendeva sul braccio destro, era Carlo Faggioni, ancora incapace di credere a quello che si presentava davanti agli occhi.

Stancamente si passò una mano sul volto, cercando di cancellare la fuliggine e la stanchezza.

-Perché…- Bisbiglio.

-Perché siamo riusciti ad infastidire gli squadroni alleati - Esclamò una voce accanto a lui, dal suono stridulo arrochito dal fumo; era Icaro.

Indossava un paio di calzoncini cachi e una camicia lacera dall’indistinto colore azzurrognolo, anche sul suo viso si leggeva l’espressione dell’orrore.

Il giovane s’era prodigato, senza sosta, assieme ad altri, nel cercare di soccorrere chi ancora poteva essere soccorso, per ore aveva trascinato corpi feriti, privi di conoscenza o urlanti dal dolore, per infiniti attimi aveva sopportato lo strazio di quelle figure che chiedevano soltanto un minuto di tregua alla sofferenza e alla tragedia.

-Guardiamoci attorno… nonostante tutto siamo in piedi, possiamo rispondere, gridare che l’aeronautica repubblicana esiste ancora! Non ci hanno distrutto, come avrebbero voluto, quello che resta può tornare ad impensierire il nemico. -  Commentò Icaro con rabbia.

Sulle macerie, i militari lavoravano alacremente, per cercare di recuperare qualche essere ancora vivo, ma, soprattutto per estrarre i cadaveri e tentare un primo riconoscimento, per poi depositarli, allineati ai bordi erbosi di quella che era stata una pista.

-Perché… accanirsi con la popolazione civile, bombardare le case, bruciare la gente, mitragliare donne e bambini.- Sussurrò il comandante.

- Questa non è guerra, è soltanto sadismo. -

- Per punirli di avere avuto un aeroporto.-

Replicò laconicamente Icaro, guardò l’ufficiale, solo in quel momento, si accorse di com’era conciato.

-Ma…tu sei ferito? - Chiese preoccupato.

-No! Non è il mio sangue! Sto cercando di capire cosa possiamo fare.. -

-Lascia correre e vai a farti dare una controllata…. quello che possiamo fare? Credo ben poco, ci penseremo subito dopo. -

L’ufficiale scosse il capo, avrebbero dovuto ricominciare tutto da principio, lasciò partire un lungo sospiro.

- Accertiamoci dei danni -

- Facile, se ci restano qualche sm79 siamo stati fortunati-

Videro arrivare Ottone Sponza, parlava gesticolando con alcuni avieri.

-Ho dato un primo sommario sguardo, abbiamo quattro sm79 efficienti, altri da rattoppare, diversi completamente inutilizzabili.-

Commentò passandosi una mano tra i capelli impolverati.

- Rapporto operativo fra trenta minuti.-

Esclamò Faggioni avviandosi verso una delle poche costruzioni intatte.

Sponza fissò Icaro. - Ci hanno tartassato di brutto- Borbotto quest’ultimo raccogliendo un pezzo di metallo contorto e bruciato.

Il bombardamento era stato terribile.

Tutti gli uomini validi erano riuniti nello spoglio locale rimasto indenne, quelle figure, stanche, ingobbite e furenti, era tutto ciò che restava dell’aviazione repubblicana.

 - Il momento è veramente tragico, se vogliamo continuare e noi vogliamo continuare, dobbiamo ripartire dal nulla…cambiamo base e al più presto - Esclamò Faggioni.

 

- Ci trasferiamo, per le future operazioni sul campo di Lonate Pozzolo, bisogna rimettere in sesto ciò che resta dello stormo, so che non sarà facile, ma dobbiamo farcela, dimostreremo a questi signori della guerra, che siamo degli ossi duri da spolpare- Concluse con una scrollata di spalle.