7 Aprile 1944 Un Bombardamento Inutile: Treviso Martoriata

Di seguito la testimonianza del bombardamento di Treviso tratto dal libro “i cieli dell’onore 1943 – 1945 i vittoriosi della sconfitta” di Gianfranco Turino.

 

Fu destato da un persistente bussare alla porta della stanza, si alzò di scatto, scosse il capo per far sparire i residui della notte e aprì, davanti a lui,un aviere sull’attenti.

- Sergente, il maggiore Marini vi prega di raggiungerlo nel suo ufficio -

-Ah! Nel suo ufficio… vuoi vedere che intende anticipare la partenza per la Grecia o prestarmi ancora a qualche aereo per fare prove e controprove,va bene grazie aviere,di al maggiore che sto arrivando. - Pochi attimi dopo, Icaro, canticchiando allegramente, bussò alla porta, aprì senza aspettare risposta, nell’ufficio c’era soltanto Marini, percepì un atmosfera diversa dal solito.

- Siedi Francesco - Mormorò il maggiore indicando una sedia davanti alla scrivania.

Il giovane, si sedette e guardò l’ufficiale, raramente lo chiamavano per nome, per lui come per tutti, era sempre stato Icaro o sergente, qualcosa non quadrava.

-Ho il dovere di comunicarti una notizia poco allegra - Esordì Marini.

Icaro sentì una lama di gelo scendergli nell’animo.

- Sei un militare, ma soprattutto uno dei miei più cari amici, hai il dovere di sapere…Treviso ha subito un pesante bombardamento alleato, gli anglo-americani hanno scatenato un numero imprecisato di fortezze volanti che hanno coperto la città di bombe… radendola quasi al suolo-

Il giovane, sentì  un pugno nello stomaco, una morsa dolorosa gli stava attanagliando la mente, Treviso bombardata, Treviso rasa al suolo, la città dove viveva la moglie, la madre e i suoi parenti, la città del suo primo figlio.

-Bombardata, rasa al suolo?- Più che una domanda era un doloroso bisbiglio,pareva un incubo da cui si faceva fatica ad uscirne.

-Treviso non è un obiettivo militare, è una città artistica, non ci sono comandi o truppe….ha un aeroporto, tanto piccolo che fanno fatica ad atterrare anche i modellini…Perché?- Farfugliò con le lacrime agli occhi.

-Sembra, che il servizio segreto alleato abbia ritenuto fosse la sede di un incontro tra Hitler e Mussolini…- Disse Marini con un filo di voce.

-Maledizione, tutti sapevano che l’incontro sarebbe avvenuto, ma a Feltre e non a Treviso - Gridò pieno di rabbia e disperazione.

-Francesco, ti capisco, ho disposto di concederti qualche giorno di licenza, vai a Treviso… - Non aggiunse altro, non  sarebbe riuscito a dire “sperando che siano vivi”.

-Un veicolo della Croce rossa ti aspetta per portarti a destinazione- Concluse.

Icaro si alzò, fissò Marini negli occhi, scosse il capo, tirò su con il naso, ritornò a guardare il maggiore, si asciugò una lacrima che stentava a svanire.

-Grazie Marino- Riuscì a bisbigliare.

Uscì in preda ad uno strano torpore, camminava come se fosse un automa.

Treviso bombardata! Rasa al suolo! Ancora  una volta la cittadina veneta diventava martire della furia distruttrice degli invasori.

-No! Non voglio pensarci, loro sono vivi, devono essere vivi, la stella in cielo non si è spenta-

- Sergente,sergente, venite il mezzo vi sta aspettando -

Si sentì spingere verso un furgone con le insegne della croce rossa, lo fecero salire e sedere su di una durissima panca.

Treviso rasa al suolo! Bombardata! La frase continuava a girargli nella mente, conficcandosi nei pensieri. Il mezzo partì a scatto, facendolo sbattere contro il telone rigido della mimetizzazione.

- Cosa troverò in quella città? Macerie, morti, scheletri bruciati dal fuoco? Tutto quello che ho già visto in tante città?”- bisbigliava in silenzio, mentre la vettura procedeva speditamente, consumò la strada ad un ritmo impressionante.

Improvviso, un odore acre s’insinuò all’interno del veicolo, una puzza inconfondibile, quella della morte.

Icaro si portò la mano sulla bocca, tentando di non respirare, era quasi impossibile evitarlo, più avanzavano più l’odore si faceva acuto.

La macchina si fermò di colpo, con un lungo stridio di freni, attorno solo silenzio.

- Sergente - Sussurrò la voce dell’autista. - Siamo a Treviso o, in quello che ne rimane, vi porto in aeroporto?-

-No!- Replicò seccamente Icaro.

Saltò a terra, lo spettacolo che gli si parò davanti sembrava un’allucinante allegoria dell’inferno, mentre, una nube di fumo restava attaccata alla volta del cielo.  Si guardò attorno sconcertato, perso, senza capire la realtà che lo stava assorbendo, fissò terrorizzato i moncherini di case che, annerite e bruciate, si levavano verso l’alto, quasi a voler maledire quello spazio così carico di morte e distruzione. Gli occhi gli si riempirono di lacrime, si passò una mano e la ritrovò sporca di polvere, con lentezza cominciò ad avanzare spostando ferri contorti, porte divelte e calcinacci. Una figura apparve improvvisa, uscì dal grigio, come un fantasma; era un anziano con gli abiti a brandelli, i capelli insanguinati, gli occhi spiritati  in cui brillava una luce di follia.

-I ne ga copà tutti…tutti…tutti - Farfugliava stringendo un pezzo di stoffa, scorse Icaro, riconobbe la divisa, gli si avvicinò.

-Fiol, Treviso non ghe se più - Si allontanò zoppicando nel silenzio della strada.

Il giovane, continuò ad avanzare tra le rovine, non sentiva più niente, era quasi rassegnato alla sorte dei suoi cari.

Vide un gruppo di militari, erano volontari della milizia territoriale, intenti a scavare tra i resti delle case,corse verso di loro.

-E’ tutto distrutto? I rifugi? Qualche persona viva ci dovrà pur essere- Esclamò tutto d’un fiato.

Uno dei militi si volse verso di lui, restò fermo per qualche attimo, poi sorrise, lo conosceva.

-Francesco,da dove ti vien, mi son il Bepi…-

-Bepi, grazie al cielo, sai qualche cosa dei miei? - L’ansia e il terrore impastavano le sue parole.

-Restano solo due rifugi in piedi che non hanno subito danni, quello in via Risorgimento e quello vicino la porta estrema, se sono riusciti ad arrivarci, forse sono ancora vivi, mi dispiace, non so altro. -

Icaro scosse il capo, i due rifugi corrispondevano alle zone dove abitavano i suoi.

- Un macello, è stato un macello, fortezze volanti ad ondate, hanno oscurato il sole…e giù bombe, tante, a grappoli, come se tutti i nemici fossero rifugiati a Treviso… morti da tutte le parti.-

Lui non l’ascoltava più, con passo ripido si diresse verso il rifugio di via Risorgimento, era quello vicino alla casa di sua suocera.

Arrivò ansando, con il cuore che batteva quasi a voler sfondare il petto, li la distruzione era minore, la via si trovava all’ingresso della città, le bombe avevano centrato solo la parte finale.

Vide la casa, un piccolo appartamento a due piani, aveva resistito, una luce di speranza cominciò a farsi strada nell’animo, arrancò verso il rifugio; era intatto.

Affannosamente tento di aprire la porta, resisteva, era incastrata, con rabbia riprese a spingere, lentamente, molto lentamente, sentì che cedeva, tolse i calcinacci che la bloccavano,si aprì un minuto spiraglio e lui, facendo presa con le mani, artigliò lo spigolo e tirò con forza fino alla completa apertura, davanti agli occhi un buco nero, in cui volteggiava la polvere.

Scese senza guardare, inciampò sugli scalini rischiando di cadere, si tenne in equilibrio poggiando una mano contro il muro.

-Il bombardamento…è finito? -si sentì chiedere dalla penombra.

-Si, è finito- Rispese scrutando il vuoto e l’oscurità, poi li vide, erano stretti in un angolo, i visi rivolti verso il soffitto, senza più pensare ad altro corse loro incontro.

- Siete vivi, siete vivi- Riuscì a mormorare, stringendo tra le braccia la moglie, bagnando quell’attimo con un fiume di lacrime.

Svaniva la paura del ragazzo, al suo posto, subentrava la disciplina dell’uomo in divisa, aveva ritrovato i suoi affetti cancellando le ore di ansia e di terrore degli istanti trascorsi.

- La casa ha resistito, solo qualche vetro rotto - Commentò continuando a stringere, tra le braccia, la moglie, che non riusciva a parlare, piangeva di  gioia.

-Andateci subito, io vado alla ricerca di mia madre e dei miei fratelli… sono nella zona della porta estrema della città, ci vediamo dopo- Uscì di corsa e riemerse nelle strade martoriate di Treviso.

La città, attorno a lui, stava risvegliandosi dall’orrore della distruzione, chi era ancora vivo, cercava tra le macerie, morti e feriti.

Drappelli di militi, spostavano, a fatica, i blocchi di calce e cemento, sparsi ovunque.

Qualche mezzo di fortuna, funzionava come autoambulanza.

Procedete con calma, fermandosi ogni tanto ad aiutare la gente, sentiva gli sguardi straniti delle figure impolverate, lacere, sporche di sangue e di calcinacci, con gli occhi lanciavano un muto rimprovero per la sua divisa e per quella guerra che non avevano voluto.

Faticò a raggiungere la parte estrema della città, il grande arco antico era rimasto miracolosamente in piedi, lì, solo qualche casa risultava danneggiata, trovò il rifugio, la porta era già spalancata e la gente usciva piangendo, ridendo istericamente, pregando, imprecando con rabbia contro tutto e tutti.

Madre e fratelli vennero fuori alla fine di una lunga processione di anime dolenti, lo videro e lo abbracciarono freneticamente.

Lui, il militare,superata l’ansia, riprendeva la sua storia bellica, consapevole che gli affetti e la sua gente, erano presenti.

Il bombardamento di Treviso costò, alla città,circa quattromila tra morti e dispersi, una quasi totale distruzione, due soli rifugi scampati al massacro, gli altri, distrutti, furono considerati tombe comuni.

Icaro, passò qualche ora con la moglie e il resto dei familiari.

Alle prime luci dell’alba, quando tutti dormivano, si allontanò in silenzio per rientrare alla base.

Nel suo animo restavano scolpite, a lettere infuocate, le tragiche scene a cui aveva assistito e che nulla poteva mai cancellare.

 

-Maledetta guerra…- Disse piano e fu il suo unico commento.